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Capire le emozioni e la loro natura grazie alla pratica dello Yoga

conoscere le emozioni

Riconoscere le emozioni per conoscere meglio se stessi

Le emozioni non possono essere permanenti, per questo si chiamano emozioni: il termine deriva da “moto”, movimento. Si muovono, dunque sono emozioni; passi di continuo da una all’altra: un momento sei triste, il prossimo sei felice, adesso sei arrabbiato, dopo sei tranquillo. Un momento sei amorevole, un altro sei carico d’odio, la mattina era tutto bello, la sera è uno strazio. E va avanti così. Non può essere questa la tua natura, perché dietro tutti questi cambiamenti occorre qualcosa di simile a un filo che tenga tutto insieme. Proprio come in una ghirlanda si vedono i fiori e non il filo, ma è questo che tiene insieme i fiori, allo stesso modo le emozioni sono come quei fiori: a volte rabbiosi, a volte tristi, a volte felici, a volte sofferenti o angosciati; ma sono tutti fiori, e tutta la tua vita è una ghirlanda. Ci deve essere un filo, altrimenti saresti andato in pezzi tanto tempo fa; invece vai avanti, in quanto entità: qual è dunque il filo conduttore, la stella polare? Cosa c’è in te che è permanente?”.

Questo è quello che afferma Osho, il famoso mistico indiano molto conosciuto in Occidente, a proposito delle emozioni e del benessere emotivo. Capire le emozioni e come queste influenzano i nostri comportamenti, ci invita a rispondere ad un quesito a mio parere molto interessante: qual è il filo che le tiene insieme? Cosa c’è oltre questo turbinio in continuo mutamento? Qual è la nostra vera natura?

Quelle che a primo impatto possono sembrare delle domande astratte e “spirituali” hanno delle implicazioni pratiche molto interessanti. Per riuscire a rispondere infatti dobbiamo capire meglio la meccanica della mente.

Capire le emozioni: la meccanica della mente

A tal fine è ancora Osho che ci viene in aiuto, argomentando in maniera molto chiara quanto segue:

Le emozioni, i sentimenti, i pensieri, quell’ammasso di roba che chiamiamo mente sono manipolati dall’esterno. Scientificamente adesso è tutto più chiaro, ma, anche senza indagini scientifiche i mistici per millenni hanno ripetuto la stessa identica verità: tutte queste cose che ti riempiono la mente non sono tue, tu non sei separato, ne sei al di là. Purtroppo ti identifichi con esse, solo questo è il problema. Per esempio, qualcuno ti insulta e tu ti arrabbi. Pensi di essere tu ad arrabbiarti ma, scientificamente parlando, l’insulto ha la medesima funzione di un telecomando: è la persona che ti ha insultato a determinare il tuo comportamento. La tua rabbia è nelle sue mani, tu sei solo un burattino”.

La mente è un meccanismo per registrare le esperienze esterne, reagire e rispondere adeguatamente. Non sei tu. Ma sfortunatamente gli psicologi pensano che la mente sia tutto e che al di là della mente non esista nulla; il che significa che siamo solo una collezione di impressioni esterne, non abbiamo un’anima individuale. L’idea stessa di anima ci proviene da fuori. E’ in questo che differiscono i mistici. Oltre la mente esiste una consapevolezza che non proviene dall’esterno, che non è soltanto un’idea”.

Ma quindi come possiamo spezzare questo meccanismo? Smettendola di identificarci con la nostra mente.
Il compito dello yoga o delle tecniche di meditazione è quello di capire le emozioni, renderci consapevoli, e disidentificarci. Quando siamo tristi o ci arrabbiamo dobbiamo renderci conto che tratta solo di registrazioni della nostra mente, che non siamo noi ad essere tristi o arrabbiati. Afferma Osho “Una situazione particolare ha fatto scattare il telecomando e ti senti triste, arrabbiato, frustrato, oppure teso: tutte queste cose cose vengono dall’esterno e la mente reagisce. Tu però sei l’osservatore, non l’attore, la reazione non è tua”.

Utilizzare lo Yoga per concentrarsi sulla nostra parte interiore

Lo yoga e la meditazione ci aiutano, quindi, a distaccarci, ad apprendere la consapevolezza, a diventare osservatori del nostro Io. Non si tratta di esercitare un controllo su noi stessi, è importante sottolinearlo. Non dobbiamo imparare a controllare o a reprimere le emozioni ma tutto il contrario. Dobbiamo lasciarle fluire, attraversarle, anche abbandonarci ad esse ma prendendo consapevolezza che sono momentanee. Non dobbiamo identificarci con una piuttosto che con un’altra evitando così di lasciare che si cristallizzino e che determinino il nostro modo di essere.

E siccome la dottrina dello yoga ci offre un approccio pragmatico e scientifico, per fare questo lavoro ci mette a disposizione una serie di strumenti. Attraverso la sua pratica andiamo a sviluppare la nostra presenza mentale, a rivolgere l’attenzione verso la nostra parte interiore stabilendo con questa una connessione. Sviluppando una presenza consapevole e calmando la mente, riusciamo a stabilire un contatto profondo con la nostra interiorità ed il distacco avverrà in modo automatico.

Seguendo questa logica, ad esempio, quando sei arrabbiato non reprimerti, lascia che sia così. Dai libero sfogo alla tua emozione, limitati a riconoscerla guardando la rabbia come se fosse un oggetto esterno!

Gautama il Buddha era solito dire ai suoi discepoli: “Arrabbiarsi è talmente stupido che è inconcepibile che esseri umani intelligenti continuino a farlo. Qualcuno fa qualcosa e tu ti arrabbi? Forse sta sbagliando, forse sta dicendo qualcosa di sbagliato, forse sta cercando di umiliarti, di insultarti, è una sua libertà. Se tu reagisci, però, diventi uno schiavo. Se dici alla persona: insultarmi è un piacere per te, non arrabbiarmi lo è per me, ti comporti da padrone”.

Il benessere emotivo sul posto di lavoro

Conoscere le emozioni raggiungendo la loro piena consapevolezza, riuscire a trovare il giusto distacco che ci permetta di non identificarci con la rabbia, con la tristezza, come con altre emozioni “positive” ha importantissime ripercussioni sulla qualità della nostra vita lavorativa. Proprio perché il posto di lavoro è un ambiente in cui entriamo in contatto con una pluralità di attori che agiscono potenzialmente come “detonatori”, soprattutto quando il clima organizzativo non è sereno.

In tal senso la consapevolezza di se implica innanzitutto la capacità di riconoscere le proprie emozioni dando loro un nome. In genere quando qualcosa non va – il lavoro non riesce, i colleghi non ci capiscono, non ci considerano o peggio ci sfruttano – l’emozione prevalente è la rabbia. A ben guardare questa è una emozione secondaria, cioè l’espressione di qualcosa che sta più a fondo e che può essere di volta in volta delusione, sconforto o anche paura. Dare il nome giusto ad ogni emozione significa già esercitare una prima forma di comprensione, di accettazione.

In secondo luogo la consapevolezza personale comporta un’autovalutazione accurata delle proprie risorse interiori, delle abilità e dei limiti, portando dunque sia alla percezione del valore e delle capacità, sia ad una sana fiducia in se stessi. Su queste basi sarà poi possibile proporsi con fermezza quando si tratta di mettere in evidenza i punti di vista personali, i propri diritti o di dar voce a opinioni impopolari ma giuste.
La consapevolezza del Sé porta alla padronanza de Sé, permettendoci di gestire le nostre emozioni ed esprimere appieno potenzialità e competenze.

 

 

 

 

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