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Smart working: ecco come da necessità può trasformarsi in opportunità

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In che modo lo yoga può interrompere la routine del lavoro da casa?

L’emergenza sanitaria provocata dal COVID-19 ha portato ad uno sconvolgimento nelle nostre vite, nelle nostre abitudini e soprattutto nel nostro modo di studiare e di lavorare. Molti di noi, inaspettatamente, hanno visto trasformare la propria casa in un ufficio, iniziando a lavorare in Smart Working. Intorno a questa definizione si è discusso molto, in molti casi anche troppo, dato che ci si è trovati ad improvvisare e gestire le proprie mansioni da remoto!

Cosa si intende per smart working?

Lo smart working è un modello organizzativo pensato per conciliare le esigenze di produttività e di raggiungimento degli obiettivi dell’impresa con il miglioramento della qualità della vita del lavoratore e del sistema di welfare aziendale.

Letteralmente lavoro intelligente, o Lavoro Agile, può essere definito come una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali:

  • revisione della cultura organizzativa,
  • flessibilità rispetto orari e luoghi di lavoro,
  • dotazione tecnologica
  • spazi fisici

È fondato dunque su requisiti ben precisi di revisione dei processi. Ma anche sulla ridistribuzione delle responsabilità, delle motivazioni, degli obiettivi e, molto importante a mio avviso, della flessibilità.

Il telelavoro o il lavoro da remoto

Il telelavoro, diffusosi negli Stati Uniti negli anni ’70 grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche, consiste nello svolgere le proprie mansioni a distanza rispetto alla sede centrale. I telelavoratori agiscono per lo più da casa o in un luogo specifico decentrato. L’esempio più comune vede il dipendente operare da una postazione nella sua abitazione, collegandosi all’azienda grazie all’ausilio di strumenti di comunicazione informatici e telematici. In altre parole il telelavoro consiste nel trasferimento della postazione lavorativa del dipendente, in molti casi regolata in maniera dettagliata dal contratto di lavoro.

Il “remote working” è un’evoluzione del Telelavoro, ma lo Smart Working è un’altra cosa. Se è vero che gli strumenti tecnologici messi a disposizione del lavoratore sono in molti casi gli stessi, questo si attiene maggiormente al più ampio processo di trasformazione digitale dell’azienda. La differenza, ripeto, non risiede tanto nelle soluzioni tecnologiche a corredo dell’una o dell’altra modalità, che permettono in entrambi i casi di accedere a infrastrutture e dati aziendali a distanza, quanto alla tipologia di rapporto con cui l’organizzazione si pone nei confronti dei suoi dipendenti.

Nello smart working non ci si limita a consentire lo svolgimento della prestazione da remoto, ma si da la possibilità al dipendente di scegliere in piena autonomia dove e quando lavorare. In questo modo si favorisce il bilanciamento tra gli interessi della vita lavorativa con quelli della vita privata, migliorando così il benessere generale. (work life balance).

La sfida delle aziende

Ritorniamo al concetto chiave di maggiore autonomia e flessibilità nello svolgimento delle proprie mansioni e della misurazione delle performance sugli obiettivi raggiunti più che sulle timbrature del cartellino.

La sfida che sono chiamate ad accettare le aziende in questo momento è proprio quella di iniziare un processo di trasformazione digitale. Un cambiamento organizzativo tout court plasmato per le logiche di collaborazione e di interazione non solo con i propri dipendenti, ma con tutti gli stakeholders.

Da questo punto di vista la trasformazione che si è chiamati ad affrontare è di alto valore strategico. Il business del futuro dipende dalla sostenibilità di un processo inarrestabile: la digitalizzazione. Come sosteneva Nicholas Negroponte nel suo profetico saggio sull’Era dell’Informazione “Being Digital” del 1995 “The change from atoms to bits is irrevocabile and unstoppable. Why now? Because the change is also exponential- small differences of yesterday can have suddenly shocking consequences tomorrow”.

Appare evidente come quella che è una tendenza esplosa durante la pandemia è in realtà una grande opportunità per implementare nuovi modelli di business e rimanere competitivi sul mercato. Tra i vantaggi dello smart working c’è quello di ottimizzare sia in termini di efficienza (riduzione dei costi) che di efficacia vaste aree dell’organizzazione. Per non parlare della sostenibilità aziendale. Proviamo a immaginare la riduzione in termini di impatto ambientale e di CO2 nel momento in cui centinaia di migliaia di persone non prendano l’automobile la mattina per andare a lavorare!

Cosa ci dicono i dati sullo smartworking

Intanto dopo circa due mesi arrivano i primi dati sullo smart working. Non stupisce che siano del tutto confortanti! Una ricerca condotta da LinkedIn su un campione di circa 2000 lavoratori ha studiato l’impatto di questa modalità, per molti del tutto nuova, sulla salute dei salariati.

Il 46% degli intervistati afferma di sentirsi più stressato ed ansioso rispetto a prima, mentre il 48% ammette di lavorare almeno un’ora in più al giorno: ossia circa 20 ore (quasi 3 giorni) in più al mese. A questo si aggiunge il desiderio di dimostrare ai propri datori che lo stipendio percepito è meritato. Il 16% è preoccupato da un ipotetico licenziamento, mentre il 19% prova uno stato di ansia chidendosi se l’azienda sopravviverà.

Andando oltre i dati la cosa che mi ha colpito è che la maggior parte delle persone intervistate ha ammesso di aver fatto fatica a “staccare la spina”. Non riuscendo a tracciare un confine tra orario di lavoro e tempo libero, sia il benessere emotivo che psicologico è stato influenzato negativamente dal lavoro da remoto.

Insomma, gli psicologi lanciano l’allarme burnout e sostengono che la situazione smartworking vada gestita opportunamente. Aggiungo che, secondo me, deve essere supportata con misure ad hoc che favoriscano il Cambiamento Organizzativo senza creare disfunzioni per azienda e lavoratori.

Questo è avvenuto perché quello messo in pratica, in questa situazione di emergenza, non è stato lo smart working nella sua vera accezione. È stato infatti un remote working, in molti casi improvvisato secondo modalità operative poche chiare.

Cosa può fare lo yoga in questo contesto?

Un’adeguata formazione potrebbe essere la chiave giusta per la partecipazione attiva e consapevole del lavoratore in questo processo e per l’interiorizzazione delle nuove modalità e obiettivi. E allora perché non usare lo Yoga attraverso un metodo integrato come quello proposto da Caracol?

Questo, lavorando sul piano fisico e mentale, permette proprio di ridurre stress e tensioni, offrendo anche delle chiavi di lettura diverse per guardare al cosiddetto lato positivo.

Una recente ricerca ha riportato alcuni molto interessanti. Il 50% dei lavoratori ha affermato di aver sfruttato questo periodo per trascorrere più tempo con i la propria famiglia. La quarantena ha anche fornito ai lavoratori l’opportunità di mangiare più sano (27%) e di fare più esercizio fisico (14%). Ritagliarsi uno spazio per lo Yoga e vivere in armonia con la propria famiglia e il proprio corpo. Perché non partire proprio dagli aspetti positivi che questa ricerca mette in evidenza? Alla fine potrebbe non essere così male!

Si tratta di un’occasione irripetibile per migliorare la qualità della vita, ridurre l’impatto aziendale e ottimizzare le risorse, passando dalla modalità smartworking a quella SmartLiving!

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